La locazione ad uso commerciale ai tempi del covid-19: tra impossibilità temporanea ed eccessiva onerosità

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Il diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale, ha generato, come noto, non solo una grave emergenza sanitaria, ma anche un impatto negativo sull’economia del paese, in considerazione delle necessarie quanto rigorose norme governative di contenimento e contrasto alla trasmissione del contagio. In questo senso, la normativa vigente, sintetizzata nel motto “io sto a casa“, è chiara: stop a scuole, università, manifestazioni, eventi, spettacoli – compresi gli eventi sportivi – chiusura obbligatoria della stragrande maggioranza delle attività commerciali e produttive, di negozi, bar, ristoranti. 

 Sono migliaia gli esercenti interessati dal provvedimento: commercianti ed operatori turistici in ginocchio, attività di servizi e del terziario improvvisamente chiuse o senza lavoro, aziende costrette a fermare il ciclo produttivo. Emergenza sanitaria, dunque, ma anche emergenza finanziaria ed economica, tanto più considerato che le spese legate all’attività continuano: imposte, tasse, stipendi, rate di finanziamenti, canoni di affitti, ecc. Sul pagamento dei canoni di locazione il Governo è intervenuto con l’art. 65 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, prevedendo il riconoscimento per i soggetti esercenti attività d’impresa di un credito d’imposta – per l’anno 2020 – nella misura del 60 % dell’ammontare del canone di locazione del mese di marzo 2020 relativamente ad immobili rientranti nella categoria catastale C/1                               

Covid-19 e le attività commerciali

Ma quali sono i rimedi concessi al conduttore per far fronte alla situazione di oggettiva difficoltà economica non essendo possibile svolgere la regolare attività lavorativa?

Al livello normativo, occorre fare riferimento al sottile confine insito nelle disciplina di cui agli articoli 1256 e 1467 del codice civile in materia – rispettivamente – di sopravvenuta impossibilità ovvero eccessiva onerosità della prestazione, in raccordo con le disposizioni di cui agli art. 1218 (Responsabilità del debitore), 1258 (Impossibilità parziale) e 1464 (Impossibilità parziale)  c.c. 

 

L’impossibilità sopravvenuta ex art.1256 c.c. è – alternativamente, in base alle circostanze – una causa di legittima estinzione dell’obbligazione ovvero di giustificazione del ritardo nell’adempimento: l’obbligazione si estingue ove, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventi definitivamente impossibile (fattispecie ad oggi non riscontrabile alla luce delle temporaneità dei provvedimenti adottati); mentre, per il caso di impossibilità temporanea, finché l’impossibilità perduri il debitore non è responsabile del ritardo nell’adempimento – salva comunque l’ipotesi dell’estinzione ove l’impossibilità perdurasse fin tanto che, in relazione al titolo dell’obbligazione ovvero alla natura dell’oggetto, il debitore non possa più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non abbia più interesse a conseguirla . Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione (con sent. n. 6594 del 2012) ha chiarito che “l’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea), deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto. Di conseguenza, coordinando fra loro le suddette componenti oggettive e soggettive che regolano la responsabilità per inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione produce gli effetti estintivi o dilatori anzi detti se deriva da una causa avente natura esterna e carattere imprevedibile secondo la diligenza media”.

 

In altri termini, l’ impossibilità, per essere giuridicamente rilevante, deve essere legata ad un evento eccezionale ed imprevedibile, estraneo alla sfera del debitore ed idoneo a provocare un impedimento caratterizzato da obiettività, assolutezza ed insormontabilità allo svolgimento della prestazione.Si parla in tal senso di causa di forza maggiore che, nel caso di specie, rileva nella sua particolare accezione di factum principis; essa ricorre quando determinati provvedimenti legislativi o amministrativi, emanati dopo la conclusione del contratto per interessi generali (come la tutela della salute pubblica), rendano oggettivamente impossibile l’esecuzione della prestazione, in modo temporaneo o definitivo, indipendentemente dalla volontà dei soggetti obbligati.   

Emergenza Coronavirus e affitto: Cosa fare?

Viceversa, l’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c. presuppone, nell’ambito dei contratti ad esecuzione continuata o periodica (c.d. di durata), non già l’impossibilità di adempiere, ma una grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni dedotte in contratto causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’obbligazione, ed in ogni caso non imputabili al contraente. In simili ipotesi, la parte che deve la prestazione può domandare la risoluzione del contratto, mentre l’altra parte ha la possibilità di salvaguardare l’esistenza del vincolo contrattuale offrendo di ricondurre lo stesso ad equità.

Pertanto, fermo il presupposto per cui la valutazione dello squilibrio contrattuale debba sempre essere ricondotto alla luce delle specifiche condizioni contrattuali, non potendo dunque prescindere da un’attenta disamina da compiersi caso per caso, appare certo che l’emergenza sanitaria legata all’attuale diffusione del COVID-19 ed i successivi provvedimenti adottati dal Governo, necessitati dalla imprescindibile tutela della salute della popolazione, tanto per la sua imprevedibilità quanto per la eccezionalità dell’evento, potrebbero configurare l’ipotesi declinata dall’articolo 1467 c.c. quale presupposto di fatto per la sua applicazione; lo stesso dicasi con riferimento alla disciplina in materia di temporanea impossibilità sopravvenuta, attesa comunque la necessaria puntuale verifica delle circostanze di fatto e di diritto, oggettivamente e soggettivamente intese.   

La complessità e l’eccezionalità della situazione lascia comunque poco spazio a risposte generali ed assolute, consigliando piuttosto, per il tramite di professionisti, il massimo impegno nell’individuare soluzioni conciliative secondo criteri di solidarietà e buona fede, ispirati prima ancora che dal diritto, dal buon senso.

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